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pagoPA e la sua tassonomia: un gigante dai piedi d’argilla

Chi volesse sostenere che la tassonomia dei servizi di incasso pagoPA è indecorosa non faticherebbe a trovare argomenti a favore della sua tesi tranchante.

Il rigore, per una tassonomia e non solo, dovrebbe essere la cifra essenziale. Ci si attenderebbe un livello di osservazione generale e astratto, senza sovrapposizioni, con livelli gerarchici ben individuati. Per la tassonomia di pagoPA non sembra esattamente così.

Un problema solo estetico, un senso di disagio che affligge solo i fanatici dell’ordine? Purtroppo no. Chi lavora nei comuni – e qui ci limitiamo alla sezione della tassonomia dedicata ai comuni – sa bene che la tassonomia è anche posta a base di alcuni interventi di finanziamento di misure a supporto della digitalizzazione: prima il cosiddetto “Fondo Innovazione”, adesso gli avvisi PNRR. Questo può portare a qualche stortura, fermo restando il senso di disagio che affligge i fanatici.

L’idea della tassonomia è corretta e condivisibile: enti omogenei hanno esigenze di incasso omogenee ed è quindi possibile organizzare gerarchicamente, in via astratta e generale, adattabile a tutti, i pagamenti che ci si attendono in enti della stessa natura: questo facilita gli enti stessi nei censimenti propedeutici a qualsiasi intervento di innovazione e facilita il nodo centrale dei pagamenti a capire a quali funzioni pubbliche si riferiscono i pagamenti che vede passare (quindi, fra l’altro, aiuta le autorità centrali a organizzare strategie).

L’implementazione in questo caso non è della più scientificamente centrate:

  • dalla prima versione della tassonomia ne sono uscite in rapida successione revisioni anche ravvicinate nel tempo (l’ultima il 1° aprile 2022), con le quali si sono giustapposti ai precedenti ulteriori codici tassonomici:
  • ahinoi, questo è avvenuto senza una gestione della cronologia delle revisione (il cosiddetto versioning) e anche senza un’operazione di filtro da parte di chi ha la responsabilità della tassonomia. Infatti fra pagamenti per estinSioni e per evaQuazioni, emergono anche pagamenti distinti per l’ecocard e per il rimborso dell’ecocard (ma cos’è poi una ecocard?):
  • abbiamo poi i “diritti vari”, incasellati sotto la voce “ragioneria generale” che, nella descrizione lunga, includono anche le tasse di partecipazione a un concorso. Peccato che poi, qualche revisione dopo, compaia una voce specifica “tassa concorso” bizzarramente incasellata sotto la voce dedicata a “politiche giovanili e del lavoro”;

Si potrebbe continuare, ma è sufficiente per dare un’idea del tenore metodologico con cui si è gestita l’evoluzione della tassonomia. Purtroppo, però, non è solo lo sviluppo della tassonomia che è sfuggito al controllo di chi dovrebbe governarla. Anche la base iniziale ha qualche vizio: perché intraprendere una nuova descrizione delle attività di competenza degli enti pubblici quando ne esistono già diverse, consolidate e diffuse? Un paio di esempi il piano di classificazione dei documenti e il piano dei conti del bilancio, come codificato dalla Ragioneria generale dello Stato ai fini del sistema SIOPE+.

Il piano di classificazione (o titolario di classificazione oppure semplicemente il titolario) è uno strumento apparentemente pensato per svolgere funzioni a supporto della gestione dell’archivio (= dei documenti) di un ente. Verissimo, ma in realtà è molto di più: è “il sistema precostituito di partizioni astratte, gerarchicamente ordinate, fissate sulla base dell’analisi delle funzioni dell’ente, al quale deve ricondursi la molteplicità dei documenti prodotti, per organizzarne la sedimentazione ordinata”. Quindi, sì, la finalità è tenere in ordine i documenti, ma a monte c’è una meticolosa analisi delle funzioni svolte da un’organizzazione. Il titolario dei comuni non fa eccezione e, anzi, è un fulgido esempio di meticolosità e rigore. Tutte le funzioni comunali sono censite e ordinate, con riferimenti normativi puntuali, spiegazioni, attenzione a evitare sovrapposizioni e ambiguità. Perché non partire da lì? Semplicemente scorrere le funzioni, evidenziare quelle che prevedono un flusso finanziario in entrata ed eventualmente fare ulteriori specificazioni.

Ancora più immediato sarebbe stato partire dalla codifica della Ragioneria Generale dello Stato (disponibile qui per i comuni, ma esiste per ogni tipologia di ente pubblico che partecipa al bilancio dello Stato) alla base del sistema SIOPE+. Il sistema SIOPE+ serve appunto a standardizzare il dialogo elettronico fra enti e tesorerie, con la finalità di rendere disponibili a un sistema centrale i dati di pagamenti e incassi degli enti pubblici così da elaborarli per controllare la spesa pubblica e i tempi di pagamento. Scopi non dissimili da quelli che vuole porsi pagoPA con la sua tassonomia.

Ora, non che i due casi appena richiamati debbano necessariamente soddisfare tal quali le esigenze di tassonomia dei servizi di incasso di pagoPA, ma appare piuttosto naturale non ignorarli quando ci si accinga a descrivere qualcosa di simile. Tuttavia, mantenere una base comune con interventi di tassonomie di altri ambiti, consentirebbe in primo luogo di non mandare dispersi sforzi intellettuali fatti da altri che hanno condotto a risultati funzionali e. soprattutto, consentirebbe di favorire l’interoperabilità dei dati raccolti, il loro incrocio e la loro rielaborazione congiunta, così da ottenere informazione utile. Inoltre si aiuterebbero gli operatori degli enti locali, che con tutte queste tassonomie uguali ma diverse devono lavorare ogni giorno.

Venendo all’attualità, che ormai fa rima con PNRR, la tassonomia pagoPA è legata all’avviso misura 1.4.3. PNRR su pagamenti elettronici e pagoPA: un comune dichiara un certo numero di pagamenti elettronici che intende implementare sulla piattaforma pagoPA e, al raggiungimento dell’obiettivo completo (cioè se entro un certo tempo il nodo dei pagamenti vede passare quel certo numero di codici tassonomici), riceve un contributo che varia da circa 600 a circa 8.000 euro per ogni servizio di incasso implementato, a seconda della grandezza del comune.

Tralasciamo che, in precedenza, il contributo del Fondo Innovazione ha funzionato con la medesima logica (con la differenza che c’era un obiettivo minimo prefissato e un contributo molto ma molto più piccolo) e si pongono adesso questioni di sovrapposizioni di finanziamenti europei. Quali sono gli effetti di una tassonomia un po’ bislacca sulla definizione e il raggiungimento di obiettivi?

Ora, da un lato è senz’altro ragionevole cercare di attrarre un contributo più grande che consenta di accumulare un tesoretto utile a finanziare interventi di miglioramento del sistema informativo. Si pongono dei dilemmi: ammesso che un comune abbia – qualunque cosa siano – queste ecocard, cosa fa? Quale dei due codici sceglie? Certo, uno vale l’altro si potrebbe dire. E se li implementasse entrambi e usasse ora uno ora l’altro? Si porterebbe a casa una somma ulteriore da utilizzare, magari, per ultimare quell’integrazione fra il software dei tributi e l’anagrafe che lo obbliga a fare operazioni manuali macchinose e portatrici di errori. Ci sono però anche aspetti di sostenibilità: dipende molto dalle logiche con cui funzionano i software che gestiscono i pagamenti pagoPA e i software collegati, ma, banalmente, per la sostenibilità del sistema può avere un senso cercare di mantenere in numero limitato i “tipi di pagamento” pagoPA, mentre la corsa al contributo spinge ad averne il più possibile. Lo stesso avviene – ma ne parleremo poi – per i servizi di app IO, per di più con l’aggravante che la complessità non sempre necessaria si riversa in quel caso sull’utente esterno…

(Foto di Gerhard G. da Pixabay)

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