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Arriva INAD, l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali. Novità e cosa fare dal punto di vista della pubblica amministrazione

Riceverai tutte le comunicazioni della Pubblica Amministrazione con valore legale direttamente nella tua casella di posta“. Così recita la comunicazione istituzionale che accompagna l’arrivo di INAD, l’Indice nazionale dei domicili digitali, il registro nel quale, dallo scorso 6 giugno 2023, tutti i cittadini (e non solo[1]L’articolo 6-quater del Codice dell’amministrazione digitale che istituisce l’INAD, lo definisce in rubrica come “Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, … Continue reading) possono iscrivere un proprio indirizzo PEC e abilitare la comunicazione in forma telematica con la pubblica amministrazione.

Per adesso ci si può solo registrare, ma dal 6 luglio 2023 INAD sarà liberamente consultabile, da chiunque e senza autenticazione (login), all’indirizzo https://domiciliodigitale.gov.it.

Cosa debba fare il cittadino per abilitare la comunicazione digitale con la pubblica amministrazione è chiaro. Cosa deve fare, invece, la pubblica amministrazione? Cerchiamo di capirlo, anche perché non è poi tutto così banale.

La registrazione su INAD, da sola, non basta

INAD è un registro, un elenco di indirizzi, e, da solo, non è in grado di trasformare fogli e buste di carta in messaggi PEC. La pubblica amministrazione deve adeguarsi e modificare i processi di formazione e trasmissione di documenti.

In teoria da tempo la pubblica amministrazione dovrebbe formare i suoi documenti nativi digitali e, nel caso di trasmissione analogica (foglio stampato e busta di carta), produrre una copia analogica di documento digitale con le dovute cautele (per esempio quelle descritte nell’art. 3-bis del Codice dell’amministrazione digitale o, ahinoi, in altra normativa di settore).

Nella pratica, tuttavia, la mancanza di domicilio digitale per una larga fetta di interlocutori della pubblica amministrazione (i cittadini, appunto), è stato un freno decisivo alla produzione di documenti nativi digitali a prescindere. Quindi, tolti i casi in cui c’è la certezza preventiva di inviare a un domicilio digitale, la formazione dei documenti e la loro firma è analogica: firma autografa nel caso di comunicazioni singole, firma “sostituita a mezzo stampa” (art. 3 del d.lgs 39/1993) per comunicazioni massive.

Quindi, primo passaggio: convincersi che i documenti nascono digitali e adeguarsi. Quindi, dotarsi di firme digitali per sostituire la firma autografa e integrare i software che producono documenti in forma massiva, oltre che con il protocollo informatico/sistema di gestione documentali, anche con soluzioni di firma automatica non presidiata.

Quando e come consultare INAD

Le liee guida su INAD, seguendo il buon senso, sono chiare: l”esistenza del domicilio digitale si verifica al momento della spedizione. Infatti, l’impostazione stessa del registro consente la continua modifica del proprio domicilio che, quindi, è un’informazione del tutto volatile. Spedire male è un rischio concreto. Per lo stesso motivo non è opportuno memorizzare in anagrafiche locali l’indirizzo PEC eletto come domicilio digitale[2]Le linee guida introducono anche ragioni di trattamenti di dati personali non eccedenti..

Il registro INAD stesso, sia tramite interfaccia web sia tramite interoperabilità con atri sistemi, consente ricerche storiche per verificare se, a una certa data, un certo indirizzo era domicilio digitale generale di un certo soggetto. Questo dovrebbe convincere anche del fatto che non è necessario produrre e conservare la prova dell’avvenuta consultazione del registro. Basta adeguare correttamente il processo con una verifica puntuale al momento della spedizione e l’eventuale verifica successiva non può che confermare la correttezza dell’invio.

Quindi, secondo passaggio, adeguare i propri processi. In caso di invii singoli:

  • consultare l’indice INAD, tramite la sua interfaccia web (accessibile a tutti, senza autenticazione);
  • oppure, meglio ancora, integrare la ricerca su INAD nel sistema di protocollo informatico: ogni comunicazione, infatti, deve essere protocollata;
  • in caso di domicilio digitale il documento parte via PEC (e si attivano procedure di verifica della consegna con gestione di mancate consegne ecc.);
  • altrimenti il software di protocollo produce una copia analogica (vedi art. 3-bis del Codice dell’amministrazione digitale) da avviare a spedizione analogica, senza timori di mancanza di valore.

In caso di invii massivi o serializzati, tramite un software a supporto di una specifica funzione dell’amministrazione:

  • integrare la consultazione di INAD nel software che produce l’output documentale;
  • integrare – già detto – il software con il sistema di gestione documentale e strumenti di firma digitale (non presidiata);
  • avviare a spedizione tramite PEC[3]L’invio PEC dovrebbe partire dal protocollo informatico/sistema di gestione informatica dei documenti, così da registrare nel sistema, cioè nell’archivio, anche le evidenze di … Continue reading i documenti destinati a titolari di domicilio digitale (con controllo dello stato di consegna e gestione – automatizzata – degli insuccessi);
  • avviare a spedizione cartacea i documenti per destinatari non digitali[4]Qui ci si potrebbe porre la domanda: a chi compete la produzione della copia analogica a norma? Al software o al protocollo? In un mondo perfetto sarebbe auspicabile che fosse il protocollo a farsi … Continue reading, evntualmente in collegamento con un servizio esterno di stampa, imbustamento e spedizione[5]Se poi il servizio fosse in grado di trasmettere in via telematica lo stato di consegna delle singole spedizioni….

La consultazione di INAD via interfaccia web – si è già detto in un paio di passaggi – è libera (senza autenticazione). Quindi, in contesti piccoli, si tratta solo di rivedere alcune procedure “umane”.

La consultazione di INAD tramite API – e, quindi, l’integrazione della ricerca su INAD negli applicativi (a partire dal protocollo informatico) – è tecnicamente molto semplice ed elementare, priva di insidie. Qui una sua realizzazione concreta: parlaConINAD2 (github.com)[6]Preannuncio un post di approfondimento sullo strumento parlaConINAD, che nella realizzazione delle sue funzioni di interazione di base con INAD ha richiesto poche ore di impegno..

Gli intrecci con la Piattaforma delle notifiche digitali

In realtà ci sarebbe poi l’opzione Piattaforma Notifiche Digitali (PND), che solleverebbe dall’onere della gestione differenziata digitale/analogica degli invii[7]Incluso l’aggravio del controllo dello stato di consegna degli invii digitali, operazione che, nel sistema informativo locale, sarebbe “contesa” fra il software gestionale e il … Continue reading ma che, tuttavia, sembra indicata solo per la trasmissione di notifiche di atti giudiziari e simili[8]Oltre che dalla narrazione ufficiale, l’uso della PND solo per alcune tipologie documentarie sembra confermata anche dalla necessità di indicare alla PND stessa, in fase di avvio di una … Continue reading

Quindi, terzo passaggio: occorre chiarire cosa inviare tramite PND e cosa inviare esclusivamente tramite strumenti tecnologici propri, consultando anche INAD, e condurre analisi di costi e benefici, anche nell’incertezza del funzionamento della PND, che sembra accessibile solo da pochi giorni.

Gli intrecci con ANPR

Le regole di INAD garantiscono pieno allineamento fra INAD stesso e ANPR[9]D.lgs 82/2005, art. 6-quater, comma 3, come modificato dal d.l. 152/2021, art. 27..

Recentemente la consultazione di ANPR è stata aperta, tramite interoperabilità di software, anche a funzioni delle pubbliche amministrazioni diverse da anagrafe e stato civile. Fra i casi d’uso elaborati dal Ministero dell’Interno[10]Si veda la circolare DAIT all’indirizzo https://dait.interno.gov.it/servizi-demografici/circolari/circolare-dait-n73-del-31-maggio-2023., anche l’invio di comunicazioni.

La domanda sorge spontanea: chi interrogare per conoscere il domicilio digitale di un cittadino, INAD o ANPR? Su quale integrazioni investire?

Non solo comunicazioni in partenza…

Il Codice dell’amministrazione digitale prevede, testualmente, anche che:

le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni […] sono valide […] se trasmesse dall’istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi di cui all’articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater […]

CAD, art. 65, comma 1, lett.c-bis

Questo dovrebbe[11]Il condizionale è d’obbligo quando si interpretano le stringhe del CAD, vuoi per la sua mutevolezza figlia dell’incessante variazione del contesto tecnologico, vuoi per la sua … Continue reading voler dire che un cittadino può scrivere un’istanza o una comunicazione a una pubblica amministrazione nel corpo di un messaggio e-mail (PEC) spedito dal suo domicilio digitale, con piena validità. Un notevole passo avanti visto che:

  • gli strumenti di firma digitale non sono diffusi presso chi non esercitò attività professionali o d’impresa;
  • gli strumenti per “digitalizzare” documenti analogici in modo appropriato sono sempre meno diffusi[12]Nell’epoca degli smartphone e del mobile-first, ciò che si osserva da un punto di vista limitato – ma confermato anche da altri osservatori parziali – è che stampanti e, … Continue reading;
  • si evita la circolazione superflua di copie di documenti d’identità e la memorizzazione di dati personali eccedenti[13]A quadro normativo vigente sembra che allegare la copia di una carta d’identità o di una patente di guida sia garanzia assoluta di provenienza di un documento. A ben vedere non è così e, … Continue reading.

A prima vista questa è una notevole semplificazione per le comunicazioni legalmente valide ed efficaci anche nel verso opposto (da cittadino a pubblica amministrazione). Tuttavia porta con sé non pochi problemi tecnici e interferisce con strade già tracciate e scelte strategiche avviate.

Il grande problema tecnico è: come verificare, al momento della ricezione del messaggio, che questo provenga dal domicilio digitale iscritto in INAD dal suo mittente? Infatti:

  • INAD consente la verifica di un indirizzo PEC solo se si conosce il codice fiscale del mittente;
  • una comunicazione a testo libero, veicolata dal corpo di un messaggio e-mail (PEC), non necessariamente contiene il codice fiscale del mittente;
  • se anche lo contiene, questo non è presentato come dato strutturato direttamente acquisibile dalla macchina (il protocollo informatico in questo caso) per eseguire una verifica “al volo” e, quindi, serve sempre un intervento umano[14]A opera di chi? A essere precisini, probabilmente, dell’Ufficio protocollo che, in caso di comunicazione non valida, potrebbe restituirla al mittente… Si tratta di una situazione … Continue reading;
  • anche la REM[15]Evoluzione della PEC che la trasforma in un SERCQ – Servizio Elettronico di Recapito Certificato Qualificato, a norma eIDAS. prossima ventura, che pure dovrebbe garantire l’identificazione certa del mittente prima della spedizione, non veicolerà (fra le sue intestazioni/metadati) il codice fiscale del mittente…

C’è poi la questione che, ormai, sembrava tracciata la strada per cui le comunicazioni cittadino-amministrazione debbano avvenire mediante la fruizione di servizi on-line strutturati e guidati, più che tramite messaggi e-mail o PEC non strutturati e non riutilizzabili (nel senso di immediatamente interpretabili da uno strumento informatico). In questa direzione si pongono i recenti avvisi PNRR, che a loro volta seguono una meticolosa descrizione tecnica – a cura del Dipartimento per la trasformazione digitale, sezione Developers Italia – dell’esperienza d’uso da parte del cittadino che intende comunicare con l’amministrazione per fare una richiesta, attivare un servizio o esercitare un suo diritto. Anche qui, servirà un po’ di inventiva per tenere insieme armonicamente l’ampio ventaglio di possibilità comunicative…

Conclusione: l’entusiasmo che atterra su qualche dito di polvere

L‘eliminazione di carta e di code e attese agli uffici postali è un effetto che, a essere ottimisti, si potrà ottenere a medio-lungo termine.

Quanto descritto sopra, dovrebbe convincere che la sola registrazione su INAD del possibile destinatario di una comunicazione di una pubblica amministrazione, da sola, non basta a trasformare ciò che prima era una lettera infilata in una busta e spedita per posta in un messaggio di PEC (Posta Elettronica Certificata).

L’idea di INAD è racchiusa nel Codice dell’amministrazione digitale (CAD) da tempo, da molto tempo. Sempre nel CAD è sancito l’obbligo, per le amministrazioni, di comunicare con i cittadini dotati di domicilio digitale esclusivamente tramite il domicilio digitale, a partire dal 1° gennaio 2013. Duemilatredici, non è un refuso. Finora, quindi, le amministrazioni erano obbligate a usare la PEC solo verso quei cittadini che avevano eletto un loro indirizzo PEC quale domicilio digitale speciale, riferito a un unico affare, dal momento che il registro di portata generale è comparo solo lo scorso 6 giugno 2023 duemilaventitré. In effetti, quindi, a una lettura letterale, dal 6 luglio 2023 le pubbliche amministrazioni sono obbligate a comunicare tramite PEC con i cittadini registrati su INAD.

Appare ragionevole che le amministrazioni, che pure aspettavano INAD da tempo, non siano subito pronte a virare le proprie comunicazioni sul canale digitali. Gli adeguamenti da mettere in campo, si è detto, non sono pochi e riguardano anche modifiche degli strumenti informatici.

Un po’ di pazienza è dunque necessaria, perché – è indiscutibile – un mese di tempo per adeguarsi completamente non può bastare. E non per indolenza o inefficienza. Se è vero che di INAD si parla da anni e che da almeno da due anni sono disponibili indicazioni di dettaglio sul suo funzionamento logico, il suo avvento è sempre stato avvolto da incertezza, sia per i tempi di attivazione, sia per il suo funzionamento tecnico di dettaglio (che incide sull’adeguamento degli strumenti), sia per i suoi intrecci con la Piattaforma delle notifiche digitali.

Non ultimo, nell’era degli avvisi PNRR per la trasformazione digitale della pubblica amministrazione, potrebbe essere complicato trovare lo spazio per innovazioni non strettamente legate al raggiungimento degli obiettivi PNRR…

INAD: normativa, specifiche e link

Immagine: rielaborazione dell’homepage di INAD e Immagine di rawpixel.com su Freepik

Note

Note
1 L’articolo 6-quater del Codice dell’amministrazione digitale che istituisce l’INAD, lo definisce in rubrica come “Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese”.
2 Le linee guida introducono anche ragioni di trattamenti di dati personali non eccedenti.
3 L’invio PEC dovrebbe partire dal protocollo informatico/sistema di gestione informatica dei documenti, così da registrare nel sistema, cioè nell’archivio, anche le evidenze di spedizione e consegna.
4 Qui ci si potrebbe porre la domanda: a chi compete la produzione della copia analogica a norma? Al software o al protocollo? In un mondo perfetto sarebbe auspicabile che fosse il protocollo a farsi carico di tutte le operazioni, così da condurre a unicità la gestione di tutte le spedizioni, a prescindere dal loro canale e dal software che ha generato l’esigenza di spedizione.
5 Se poi il servizio fosse in grado di trasmettere in via telematica lo stato di consegna delle singole spedizioni…
6 Preannuncio un post di approfondimento sullo strumento parlaConINAD, che nella realizzazione delle sue funzioni di interazione di base con INAD ha richiesto poche ore di impegno.
7 Incluso l’aggravio del controllo dello stato di consegna degli invii digitali, operazione che, nel sistema informativo locale, sarebbe “contesa” fra il software gestionale e il software di gestione documentale, in attesa di stabilire prassi condivise…
8 Oltre che dalla narrazione ufficiale, l’uso della PND solo per alcune tipologie documentarie sembra confermata anche dalla necessità di indicare alla PND stessa, in fase di avvio di una notifica tramite interfaccia web, un codice tassonomico per il documento. Seguono approfondimenti.
9 D.lgs 82/2005, art. 6-quater, comma 3, come modificato dal d.l. 152/2021, art. 27.
10 Si veda la circolare DAIT all’indirizzo https://dait.interno.gov.it/servizi-demografici/circolari/circolare-dait-n73-del-31-maggio-2023.
11 Il condizionale è d’obbligo quando si interpretano le stringhe del CAD, vuoi per la sua mutevolezza figlia dell’incessante variazione del contesto tecnologico, vuoi per la sua interazione con normativa di settore digitalmente agnostica…
12 Nell’epoca degli smartphone e del mobile-first, ciò che si osserva da un punto di vista limitato – ma confermato anche da altri osservatori parziali – è che stampanti e, soprattutto, scanner non sono dispositivi diffusi nelle case. Ciò si traduce in stampe di fortuna compilate a mano e fotografate con smartphone: l’effetto finale è un documento scarsamente leggibile, veicolato in uno o più file immagine in di dimensioni spropositate (per tacere delle collezioni involontarie di tessuti da tovaglie e di calzature che si creano negli uffici protocollo). Non va meglio quando mittenti più volenterosi producono l’istanza/comunicazione da un programma di videoscrittura inserendoci l’immagine di una firma…
13 A quadro normativo vigente sembra che allegare la copia di una carta d’identità o di una patente di guida sia garanzia assoluta di provenienza di un documento. A ben vedere non è così e, anzi, questa situazione espone a rischi di furto di identità, specie nell’epoca dell’intelligenza artificiale generativa e dei deep fake. Per esempio: Carte di identità con Selfie di italiani in vendita. Ora puoi aprire un conto online anonimo con 500 dollari (redhotcyber.com).
14 A opera di chi? A essere precisini, probabilmente, dell’Ufficio protocollo che, in caso di comunicazione non valida, potrebbe restituirla al mittente… Si tratta di una situazione sostenibile?
15 Evoluzione della PEC che la trasforma in un SERCQ – Servizio Elettronico di Recapito Certificato Qualificato, a norma eIDAS.
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